Partiamo da un acronimo
Colgo
Occhi
Vivaci
Inseguire
Delizie
Questo anno volge finalmente al termine. Si finalmente (anche se il prossimo anno sarò un po’ più vecchia) perché davvero un anno così ma proprio dico proprio non si era mai visto. L’anno degli abbracci negati, delle mascherine, dei colori rosso giallo arancione (e non stiamo giocando a risiko), del distanziamento sociale (ma il mio vicino di casa chi è??) e di sofferenza. Proprio stamattina come ogni giovedì mi sono recata alla mensa dei poveri (dove presto servizio due volte la settimana da anni) per confezionare i pasti per gli ospiti che fino allo scorso anno avevano una mensa e un posto caldo in cui mangiare e adesso invece vengono a ritirare un sacchetto con il cibo (per fortuna caldo) nella speranza che prima o pio ci si possa di nuovo ritrovare insieme in quella sala che è diventato un magazzino di cibarie. E proprio stamattina osservo. Siamo tutti con la mascherina noi volontari e qualcuno anche con la visiera ma gli occhi, quelli rimangono liberi. E allora osservo gli occhi del cuoco che mi salutano sorridendo quando arrivo, che ammiccano su qualche battuta e che si rabbuiano quando magari gli “disobbediamo” un po’. Guardo gli occhi dei miei compagni volontari. Ci cerchiamo, ci sorridiamo. E poi osservo le mani, sempre in movimento. Ogni giorno confezioniamo circa 90 sacchetti. Le mani che si scottano prendendo una vaschetta con della pasta troppo calda. Le mani che impugnano il mestolo per fare le razioni, che tagliano panettoni, che confezionano sacchetti con cioccolatini. Mani veloci, mani precise. Il tempo non è molto. Alle 10.30 si apre e si comincia la consegna dei sacchetti. E poi sento gli odori ormai così famigliari: il pollo arrosto, la pasta con il pesto, il panettone appena tagliato. E il fruscio del domopack che chiude le vaschette.
Il rumore secco della borsa di plastica che si apre. Qualche posata che cade. La risata soffocata dalla mascherina di qualche volontario. Qualche frase incomprensibile che dovrebbe far ridere ma che, causa mascherina e visiera, arriva dopo o non arriva affatto. I carrelli che vengono riempiti con i sacchetti. E siamo pronti. Si esce ben coperti perché fa freddo. Il plexiglas sul tavolo dal quale si passa il sacchetto con il cibo alle persone che, sempre tante, si affollano davanti al cancello. “Rispettate la fila” qualcuno dice senza convinzione. Il rumoreggiare delle persone in fila: tante tristi storie di chi non ce l’ha fatta a vivere dentro la società e ora la osserva ai margini. Le parole buone di un marito con moglie sulla carrozzina che riusciamo con un escamotage a far entrare e far mangiare al caldo (non hanno dimora, vivono all’aereoporto e per loro questo è un momento per sentirsi come a casa). Chi arriva con il proprio piccolo cagnetto al quale non viene mai negato un piccolo bocconcino. Il bambino che arriva con la mamma per il quale non mancano mai omogenizzati o un piccolo giochino. E andiamo avanti. Rumore di passi che se ne vanno. Passi affaticati di chi si è arreso, passi veloci di chi ha freddo, passi instabili di chi soffre. E’ incredibile quanti rumori diversi fanno questi passi.
E poi un sorriso con gli occhi. Un augurio farfugliato dalla mascherina. Un gomito gomito perché sei contento. Sono i rumori dell’anima. Delle nostre anime inquiete che non vorrebbero mai soffrire e che sperano sempre, nonostante tutto, che domani sia un altro giorno (abbiamo visto tutti Via col vento, giusto?).
E poi il rumore dell’acquaio, delle pentole che vengono lavate, degli stracci che asciugano e puliscono.
Il rumore dei pallets che arrivano, per fortuna carichi di nuovo cibo che viene donato costantemente. Lo straccio che lava il pavimento. Il turno è quasi finito ma il campanello ci avvisa che qualche ospite arriva sempre in ritardo e vuole da mangiare. Nessuna paura. C’è sempre qualcosa per tutti. E giorno dopo giorno, senza mai fermarsi, questo piccolo mondo va avanti: Feste, giorni feriali, sole neve. Mai un giorno è stato chiuso. Mai un giorno questi locali hanno cessato di fare rumore. Ed è il rumore più bello. Quello della solidarietà.
Patrizia Zoni